INTRODUZIONE

Cosa si intende per “archeologia preventiva” e quale ruolo essa riveste nella tutela del patrimonio archeologico nazionale? Come si conciliano l’esigenza di sviluppare infrastrutture e di conservare il patrimonio culturale?

Cerchiamo di capirne di più con questa breve introduzione al tema

Le grandi trasformazioni del territorio italiano causate dalla realizzazione di infrastrutture, opere pubbliche di diversa entità e, da ultimo, dalla costruzione di innumerevoli impianti finalizzati alla produzione di energia da fonti rinnovabili e non, rischiano costantemente di intercettare e distruggere il patrimonio archeologico diffuso ancora conservato nel sottosuolo.

Prima dell’introduzione nella normativa italiana della procedura di verifica preventiva dell’interesse archeologico, il rinvenimento di depositi archeologici nel corso di lavori pubblici (tracciati ferroviari e autostradali, edifici pubblici, reti di approvvigionamento, ecc.) poteva arrecare gravi danni al patrimonio e provocare l’aumento non controllato dei tempi di realizzazione e dei costi delle opere da realizzare. In molti casi, la forte sensibilità per la tutela, che ha da sempre posto in primo piano l’Italia nel mondo, e che è stata alimentata anche dalla consapevolezza delle distruzioni del secondo dopoguerra, ha portato alla nascita di iniziative meritorie che hanno consentito la protezione e il rispetto delle evidenze archeologiche, andando a costituire le premesse teoriche e di metodo per l’introduzione della prima legge in materia.

Come conciliare dunque l’esigenza di proteggere e conservare un patrimonio tanto diffuso e rispettare la necessità di garantire servizi sempre più capillari alle persone, trasporti sempre più efficienti, città sempre più “connesse” al passo con le esigenze di una società in trasformazione e con tecnologie in costante evoluzione?

La risposta a questa domanda risiede nella procedura della verifica preventiva dell’interesse archeologico (che si abbrevia come “archeologia preventiva”): essa prevede la valutazione del rischio rappresentato per i contesti archeologici e paleontologici dalla realizzazione di un’opera pubblica. Tale valutazione è tanto più complessa e articolata quanto lo è l’opera in progetto: si pensi soprattutto a grandi infrastrutture estese per centinaia di kilometri come strade e ferrovie, o a opere che incidono profondamente il sottosuolo. Per effettuarla, è fondamentale la collaborazione fra tutte le parti coinvolte: progettisti, committenti, enti territoriali, archeologi, geologi, paleontologi. 

In tema si esprime la Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico, fatta a La Valletta il 16 gennaio 1992, che prevede la partecipazione dell’archeologo “alle politiche di pianificazione volte a definire delle strategie equilibrate di protezione, conservazione e valorizzazione dei siti di interesse archeologico”.

La legislazione italiana, ben prima della ratifica della Convenzione de La Valletta (con la Legge 57/2015), aveva già previsto la facoltà di prescrivere indagini archeologiche per individuare in fase di progettazione le stratificazioni antiche che potrebbero essere danneggiate dalle opere, così da elaborare tempestivamente le soluzioni progettuali o le varianti più idonee alla tutela dei resti archeologici: il Decreto Legislativo 42/2004 Codice dei beni culturali enuncia tali principi, mentre il Decreto-legge 26 aprile 2005, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla Legge 25 giugno  2005, n. 109, costituisce la prima formulazione della norma, ripresa dal Codice degli Appalti del 2006 (Decreto Legislativo 163, articoli 95 e 96), continuata nel Decreto Legislativo 50/2016, Codice dei contratti pubblici, dal 1° luglio 2023 abrogato (salvo che per i procedimenti in corso) e sostituito dal Decreto Legislativo 36/2023, Codice dei contratti pubblici in attuazione dell'articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici attualmente vigente. Il tema, dunque, è presente sia nella normativa preposta alla tutela dei beni culturali sia in quella che garantisce il corretto utilizzo dei fondi pubblici. 

La legge fornisce soluzioni percorribili per salvaguardare tutela del patrimonio e necessità di realizzazione delle opere: i contesti archeologici possono in alcuni casi essere indagati e documentati scientificamente, prima di essere rimossi per lasciare spazio alle attività in progetto. È possibile, in alcuni casi, al termine delle indagini archeologiche, delocalizzare i resti antichi, per garantire le migliori prospettive di fruizione e valorizzazione in un luogo diverso da quello del ritrovamento. Solo in caso di assoluta incompatibilità delle opere in progetto con i ritrovamenti archeologici diviene necessario richiedere una modifica del progetto iniziale. Infine, talvolta è possibile che l’antico giunga a coesistere con la città contemporanea, con forme di integrazione che riescono a valorizzare al massimo le testimonianze del passato nel contesto attuale.